Trama (wikipedia): "La popolazione di una industriale città tedesca è terrorizzata da un maniaco che ha adescato ed ucciso molte bambine. La polizia, messa sotto pressione dall'opinione pubblica, s'impegna a fondo nella ricerca creando forti problemi alle associazioni criminali della città. Le maggiori organizzazioni criminali decidono quindi di trovare il mostro per ridurre la pressione della polizia nella città: svolgono quindi indagini indipendenti utilizzando ladri e mendicanti per controllare la città senza farsi notare". Bisogna ammettere che film così lasciano spiazzati. Spiazzati perché se fosse stato girato nel 2010 probabilmente avrei fatto lodi sperticate ad un regista così abile tecnicamente e che riesce a trattare tematiche attuali in maniera così sapiente; peccato che questo lavoro sia del 1931.
Sul solco dell'espressionismo tedesco Frizt Lang ci immerge nelle atmosfere tese di una Düsseldorf (questo dice il titolo italiano, in realtà nel film non si fa menzione della città in cui è ambientato) spaventata e impotente di fronte ad un solo uomo, una città che si arrovella in tutte le sue "associazioni" -polizia, salotti bene, associazioni criminali- per scoprire chi sia il mostro che si è lasciato dietro una lunga scia di infanticidi. Il mostro come un simbolo mischia con la sua sola presenza le carte in tavola, insinua involontariamente il seme dei dubbio e del sospetto in tutta la popolazione. E' una descrizione lucida e interessante di come la paura riesca ad agire sulle menti delle persone annebbiando la ragione di tutti (rappresentata metaforicamente da quelle stanze sature di fumo nelle quali i diversi "gruppi" si trovavano per discutere del caso) e portando all'esasperazione delle sensazioni, un crescendo di ritmo e di moti interni ed esterni che porterà alla spettacolare (per sceneggiatura e regia) scena finale.
Il dissidio interiore del colpevole dei delitti davanti alla giuria di criminali, prostitute ed assassini ci apre alla terribile attualità del tema, mettendoci di fronte ad una società basata sulla legge che con "trappole legali" come l'infermità mentale può essere indulgente con i mostri, quando invece la realtà "illegale" del sentimento porterebbe all'immediata uccisione (truce magari) dell'uomo. Chi ha ragione? Chi è colpevole? L'infanticida vittima dei suoi stessi moti interiori che dice di dover uccidere per stare bene o la giuria di altrettanti assassini che dicono di doverlo uccidere per i suoi crimini? In tutto questo la polizia, nel suo rappresentare la legalità, diventa l'ago della bilancia e porterà con estrema facilità al sovvertimento degli equilibri con il carnefice che diventa vittima e i nuovi carnefici che diventano colpevoli (insomma, come disse Goya "Il sonno della ragione genera mostri"): chi è il vero mostro?
Veramente ottima e direi sconvolgente per l'epoca la regia sapiente ed estremamente fotografica di Lang (dovrebbero studiarla molti registi contemporanei) che ci mostra tutto il suo talento tecnico nei movimenti di macchina, nelle inquadrature, nell'aspetto visivo del lavoro con luci, ombre e tutti gli artifici che usa per arricchire ogni fotogramma.
Totale l'assenza di musiche (siamo di fronte a uno dei primi film con il sonoro) , rimpiazzate magistralmente dall'inquietante fischiettare del mostro (il tema IV del movimento della suite Peer Gynt op.46 di Edvard Grieg ): un cult.
Meravigliosa l'interpretazione di Hans Beckert nel ruolo dell'assassino, sia per la sua fisicità (scelta perfetta per il personaggio) che nella sua espressività che buca letteralmente lo schermo, apprezzabile al massimo grado nella scena della confessione.
Un opera insomma che difficilmente può esimersi dall'essere definita capolavoro.
Frase celebre: "Chi può sapere come sono fatto dentro? Che cos'è che sento urlare dentro al mio cervello? E come uccido: non voglio! Devo! Non voglio! Devo! E poi sento urlare una voce, e io non la posso sentire".
M - IL MOSTRO DI DUSSELDORF
(M - Eine Stadt sucht einen Mörder)
Fritz Lang, GERMANIA-1931, 117'
VOTO (max 5)
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